Evviva i profeti

Ci sono profeti e profeti, diciamocelo. 

Non so voi, ma personalmente quando penso a un profeta la primissima immagine che mi balena in testa è quella di Charlton Heston nell’attimo in cui distendendo le braccia divide le acque del Nilo durante la fuga in Egitto nel film I dieci Comandamenti del 1956. 

Forse tutto questo perché a casa dei miei nonni era un appuntamento fisso, Natale dopo Natale dopo Natale.

Ma alla fine chi erano i profeti e il loro corrispettivo femminile, le sibille?

Se ci si dovesse attenere alla tradizione e alla definizione del dizionario, i profeti sono persone che parlano, esprimono idee, eseguono previsioni sul futuro e vaticini in vece di altri. 

Altri che vengono spesso identificati con una divinità o il fato. 

Insomma i profeti sarebbero semplicemente dei megafoni umani. 

Un mero strumento inconsapevole le cui parole “sibilline” declamate in maniera sconnessa o trascritte, come nel caso della Sibilla Cumana, su foglie abbandonate al vento, permettevano a ciascuno di interpretarle a proprio piacimento e suggestione, un po’ come i biscotti della fortuna o gli oroscopi.

 Ma sarà stato davvero così? Perché i profeti citati nei libri sacri di varie religioni hanno smosso popoli e coscienze e per questo sono stati rappresentati per tutta la Storia dell’arte, dalla statuaria greco-romana fino a Michelangelo nella Cappella Sistina, dove abbondano le loro rappresentazioni, o nell’affresco del Perugino l’Eterno con profeti e sibille, conservato all’interno dell’oratorio del Cambio a Perugia. Affresco in cui si comprende benissimo la vicinanza di queste figure al divino. 

 Come in tutti i contesti, anche nell’arte le cose non succedono mai a caso. A cosa era dovuto il profluvio di così tanti profeti e sibille nelle opere quattrocentesche, cinquecentesche e seicentesche? Semplicemente chi commissionava le opere, che appartenesse al clero, alla nobiltà o fosse lo stesso artista, sceglieva di rappresentare i vari Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, Giona, Zaccaria, la sibilla Eritrea, Delfica o Cumana per proporre questi personaggi come modelli di vita a chi guardava le opere, figure da imitare ed emulare perché con le loro azioni e con le loro parole e visioni di futuro hanno in qualche modo permesso il progredire di popoli e civiltà.

 In epoca contemporanea il termine sibilla e la figura della sibilla sono caduti un po’ in disuso, mentre l’attribuzione della parola profeta ha trovato ampia diffusione in altri campi, come lo sport. Quante volte abbiamo sentito definire Pelé o Maradona profeti del calcio? Elvis o Frank Sinatra della musica, Michael Jordan del basket, Muhammad Alì del pugilato, Valentino Rossi del motociclismo, Enrico Armani e Valentino della moda e così via settore dopo settore… Questo perché i personaggi a cui le persone vorrebbero assomigliare ed emularne le gesta non provengono più dal mondo culturale, del pensiero e della religione, ma principalmente da quello dello sport, dell’intrattenimento, della moda e dei social.

 Modelli per alcuni versi sì, ma paragonabili alla profondità di profeti e sibille?
L’eccedere in un’attività profetizza qualcosa? Forse anticipa l’evolversi di uno sport o di una moda, ma difficilmente la crescita culturale e sociale di un gruppo di persone. 

Per questo penso che chi debba essere considerato, oggi, come profeta e sibilla siano coloro che una volta li rappresentavano: gli artisti. Ogni artista, a ogni livello del gradino del “sistema arte” in cui si trovi, che sia il semplice studente di una scuola d’arte, un artista mid career con un buon curriculum di mostre in galleria e in manifestazioni internazionali, o di riconosciuto successo con retrospettive in musei cerca nelle proprie creazioni di comunicare un messaggio e un’idea.

Il tentativo di svelare qualcosa allo spettatore, di condividere con lui un pensiero e di portarlo a riflettere su una situazione è basilare per ogni artista. Purtroppo, rispetto ad altre espressioni artistiche come la musica, il teatro o la letteratura, l’arte ha delle forme e dei codici di comprensione più complessi che possono rendere la lettura del messaggio più criptica a chi la vede la prima volta.

Ma d’altronde non erano così anche i messaggi di profeti e sibille?

Fatti di frasi da interpretare, riordinare e poi fare propri.

Un quadro, una scultura, un’installazione possono essere visti come i biglietti e le foglie su cui scriveva la Sibilla Cumana: visioni e parole da riordinare per avere una visione del proprio futuro. 

Perché, alla fine, ciascuno di noi è il profeta o la sibilla della propria vita. 

Per questo ho deciso di dedicare la mia prima mostra alla “Profezia”.

Per scrivere tutti assieme il nostro futuro.

A cura di

Samuele Menin