BIO

Mariella Bettineschi

Nasce a Brescia nel 1948. Vive e lavora a Bergamo.

Abbracciando con la propria sperimentazione un ampio periodo, che la vede dapprima vicina ai gruppi femministi milanesi – dai quali ben presto si distaccherà intuendo il rischio di una omogeneizzazione della ricerca – Bettineschi ha condotto sin dagli anni Settanta un percorso solitario volto all’implementazione di un linguaggio proprio, un nuovo lemma attraverso cui esprimere il proprio ruolo di donna e artista nel mondo.

Artista femminista, si contraddistingue, nel panorama internazionale, per la continua ricerca di linguaggi femminili capaci di raccontare, attraverso pittura, scultura, disegno, collage, fotografia, digital painting, la centralità della donna, le sue infinite capacità di mettere al mondo il mondo. 

L’utilizzo di media differenti, attraverso cui Bettineschi ha implementato una ricerca formale ed espressiva assolutamente personali, sottolinea da un lato, l’importanza ascritta al “saper fare”, quella perizia tecnica di accademica memoria che ha consentito all’artista, nel corso degli anni, di districarsi tra strumenti, tecniche e soluzioni formali disparate per arrivare a una sintesi compiuta del proprio universo immaginifico; dall’altro, un’infaticabile ricerca legata a quella discontinuità a-temporale che fa della sua intera produzione un unicum per quanto riguarda l’ampiezza dei contenuti e dei topoi affrontati. 

La partecipazione nel 1988 alla XLIII Biennale di Venezia su invito di Achille Bonito Oliva, nel 1989 il trasferimento a Berlino – città in cui l’artista risiederà fino al 1995, sino ad arrivare al successo della cruise di Dior del 2022 con la presentazione di un’installazione immersiva da L’era successiva, sono soltanto alcune delle tappe salienti di un percorso artistico lungo e frastagliato. Mariella Bettineschi (Brescia 1948) si è confrontata, con consapevolezza, con il proprio ruolo di donna e artista ancor prima di affermarsi sulla scena nazionale, seguendo una vocazione autonoma all’interno di un ambiente marcatamente maschile: “Posizionarsi ai confini, attivare uno sguardo allucinato, un’attenzione primitiva sulle cose, l’immagine arriva dalla periferia, si rivela per il suo “sfavillio”, è unica, non cerca connessioni, affinità, famiglie. […] Ma l’immagine può anche biforcarsi, diventare labirinto: allora si moltiplica, ingoia sé stessa e rigetta il suo opposto, tradisce i presupposti, approda ad esiti sconosciuti”, scrive nel 1999.

L’arte per Bettineschi è perdita e disorientamento, conoscenza del mondo e del sé, conoscenza del non detto attraverso il superamento costante delle barriere convenzionali di spazio e tempo. Come dalla folgorazione nata per Duchamp, dall’incontro con la sua opera a Philadelphia, per Bettineschi la quarta dimensione è tutta reale: garantisce l’ingresso in uno spazio rinnovato in cui le regole del gioco sono tutte da definirsi. È così che nasce un racconto frastagliato e continuo, una narrazione lunga un cinquantennio che sfugge a qualsiasi tentativo di definizione univoca. 

L’arte, quindi, coagula uno stato fluido, è priva di costanti riconoscibili, è disorientamento e perdita.

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